RUBRICA
LA STORIA DI UN FIGLIO


IL SECONDO GIORNO
La storia di un figlio che non ha mai smesso di essere figlio


Dall'alto della mia inesperienza, posso assicurarvi che la sete sembra essere la cosa più straordinaria e terribile nella vita dei bambini. Straordinaria perché li apre al desiderio e alla ricerca e all'eccedenza di ciò che è sempre stato così. Terribile perché non sanno dare un nome a ciò che manca e le porte che si aprono sono tante. A quale bussare? La più sicura? La più facile? La più vicina?

Ho bussato alla porta della fuga. Volevo andare lontano.

Misi la valigia sulle spalle e ricevetti il bacio di mia madre, il luccichio dell'acqua nei suoi occhi e un ultimo saluto. Mancavano dieci minuti alla partenza del treno.

Mio padre camminava accanto a me, come chi vuole arrivare in ritardo. In realtà, nemmeno io avevo fretta, e anche se non ce l'avevo, la avevo, e con una forza così sfrenata che, per un attimo, dimenticai la vertigine di andare avanti.

Vidi il muro della scuola dove avevo imparato la scienza e gli errori. Se solo potessi entrare per un minuto, sedermi al secondo banco della terza fila e chiedere quello che non ho mai chiesto. Perché mancavano dieci minuti alla partenza del treno e non sapevo più cosa significasse essere grandi come mio padre.

Quando arrivammo, mi guardò come per togliermi la paura dagli occhi e tirò fuori dal suo gilet scolorito dal sole un vecchio pezzo di carta ammaccato: un'ultima raccomandazione. Come potevo dirgli che non volevo crescere? Che ero un figlio e non un uomo? Che avevo ancora paura del signore dei carri, della notte e delle sue ombre... Addio padre. Addio, figlio.

Portava la valigia sulle spalle e il peso di un biglietto terrificante. Non pianse: voleva sembrare un uomo, non un bambino. Quindici primavere ad accumulare calzini, forza e coraggio. Era il secondo di un corno a saccheggiare la riserva per quel duro inverno.

Ha scritto:

Imparate la strada per arrivare, ma non dimenticate quella per tornare.

Da tuo padre, che ti ha sempre tenuto per mano.

Portava una valigia sulle spalle e una storia fatta di tutto. Come la zuppa di mia madre: fatta di ciò che c'era e di ciò che mancava; di ciò che conosceva e di ciò che non aveva mai nominato; fatta di fuochi tenui e forti, di bolle e fuoriuscite, di vigilanza e disattenzione. Una storia fatta di crudo, fatta di tempo, fatta di me.

Era questo ciò di cui avevo bisogno? Una porta che si chiudeva, un inizio, un cambiamento di scenario, il crollo del mio mondo? Non lo so. Ma so che era terrificante viaggiare da sola, senza sapere chi fosse l'uomo davanti a me, o la fine della sua esistenza. Ma soprattutto mi terrorizzava viaggiare da sola, senza sapere esattamente a cosa servisse.

Sì, ho scelto la porta di taglio. Ho lasciato la mano di mio padre, ho lasciato i miei fratelli e mia madre. Sono andato dove volevo, ho fatto quello che volevo. -Forse sto mentendo. Non andavo sempre dove volevo, né avevo tutto quello che volevo, ma mi piaceva pensare che fosse così. Ma quando arrivava la notte ed ero sola, terribilmente sola, non potevo fare a meno di ricordare quanto mi mancasse e quanto desiderassi essere più grande.


Testo di Verónica Benedito, asm
Voce di Fausto Raínho Ferreira


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